sabato 27 agosto 2011

La Pizzica


E' difficile dire cosa sia la Pizzica. Giusto per avere un'idea, nel passato era un rituale di cura dal morso della tarantola; un gruppo di uomini con tamburelli, una chitarra, un organetto diatonico suonava di continuo (anche per molti giorni) finchè la tarantata, con un ballo ossessivo e ripetitivo, non esauriva la carica del veleno.
Oggi è un rituale per le feste etniche in cui migliaia di persone si incontrano con tamburelli e altri strumenti tipici acustici per suonare e ballare insieme.
Antichissima tradizione di musico-danza-terapia salentina, oggi molto praticata a scopo culturale, ricreativo, terapeutico.
Fino a pochi decenni fa serviva a curare le 'tarantate', donne (ma anche uomini) che durante i lavori in campagna venivano morse dalla tarantola e impazzivano. Era necessario allora chiamare i suonatori-guaritori che eseguivano questa musica ritmata, ripetitiva, ossessiva che sostiene uno stato di trance.
Elemento base e anche simbolo della Pizzica è il tamburello leccese; si suona in modo da dare il ritmo base, deciso, costante e altri battiti in terzine che fanno anche suonare i sonagli.
Il fenomeno del tarantismo è molto vasto e complesso, oggetto di studio da decenni di vari ricercatori, etnologi, ma non solo, fra cui Ernesto De Martino e quindi è sicuramente riduttivo descriverlo qua in due righe.
Dopo gli anni bui della colonizzazione televisiva, oggi il neo-tarantismo dilaga tra i giovani, in situazioni conviviali (sagre e feste in masserie), con questo ballo semplice e liberatorio (trance-dance) o di corteggiamento.
Siamo nel Salento (prov. di Lecce, Oriente d'Italia); è una calda sera d'estate, abbiamo voglia di far quattro salti, di scoprire qualcosa: che facciamo? Andiamo ad una sagra dove fanno la Pizzica. Festa in piazza tra luminarie, bancarelle, persone a passeggio; sentiamo della musica, andiamo. Sentiamo sempre più chiaro un bel ritmo, alziamo il passo...
Eccoci! Un cerchio di persone che suonano i tamburelli tipici salentini e altre nel cerchio che ballano...
Una volta nel Salento era diffuso il lavoro nei campi; non era raro essere morsi dalla tarantola, che in queste terre arse viveva bene.
Le persone pizzicate iniziavano a star male e l'unico modo per guarirle, da almeno un millennio, era suonare, lasciare che ballassero fino a 'guarire'.
Nel nostro secolo poi è arrivata la tv, la medicina occidentale, la psichiatria, che tentava di curare i 'malati', ma le ultime scoperte farmacologiche erano solo nuovi intrugli chimici, ben lontani dal 'guarire'. Chi poteva guarire erano i suonatori, persone comuni che nelle occasioni tiravano fuori i loro strumenti.
L'orchestrina era formata da tamburelli, una chitarra e una fisarmonica, un violino, che suonavano la Pizzica. Era quindi musica popolare, che chiunque poteva suonare; la musica non era fine a se stessa, ma era terapeutica; in realtà, oltre il morso del ragno, c'era una forte voglia di esprimersi, di liberare un'energia che la comunità opprimeva.
Oggi, a distanza di molti anni, il fenomeno ridiventa forte: nel Salento e non solo c'è sempre più voglia di Pizzica: una etnomedicina, un ballo libero che rilassa corpo e mente; un modo per stare insieme ai vecchietti carichi di storia; un modo per riprendersi un modo di esprimersi e divertirsi primitivo; e oltre la musica, il ballo, i canti, un qualcosa di misteriosamente umano, che dalla notte dei tempi si perpetua...

Il Salento e la Musica popolare
Sono certo che, per comprendere una terra, la sua cultura ed i costumi del suo popolo è importante ascoltarne la musica.
Nell'ultimo periodo i salentini ed, in particolare, i giovani hanno riscoperto la musica dei padri. In pratica ci si è accorti che le sonorità calde e solari proposte dalla musica popolare non hanno nulla da invidiare alla ben più blasonata musica che ha dato le origini al rock moderno. Anzi, il Salento, per la sua posizione centrale nel mediterraneo è, da secoli, il naturale punto d'incontro di culture diverse: le sonorità che ne derivano sono il felice connubio delle antiche musiche greche, bizantine ed arabe che costituiscono, insieme, il nocciolo culturale del bacino del "mare nostrum" di imperiale romana memoria.
Tra le musicalità proposte dal folklore, la "Pizzica" è una riscoperta da parte dei giovani del Salento: è, in pratica, l'antenata della tarantella napoletana. Il Salento è, dal canto suo, la patria della cultura del "tarantismo" ovvero la cultura della "taranta".
La "taranta" è, in particolare, quel ragno piuttosto grosso che si nasconde negli anfratti e nelle fratture della terra e delle rocce della nostra provincia che, secondo la credenza popolare "morde" o, meglio" "pizzica" (da cui, appunto, il nome dato alla musica...). Secondo le stesse credenze popolari, dal morso della tarantola si guariva solo grazie alla musica: la "pizzica" ed il ballo che da essa ne deriva. Come la tarantella, la "pizzica" nasce come ballo "curativo" del morso inferto dalla "taranta". Tarante e basilischi (di Luisa Mogavero)
Un fenomeno molto noto che ha suscitato l'interesse di numerosi studiosi. Il tarantismo, ovvero il caso di persone che, morse da ragni o serpenti, si abbandonano a danze e comportamenti particolari, è legato ad ataviche tradizioni e in certa misura è arrivato fino a oggi. Luigi Chiriatti, musicista e studioso, fornisce nelle sue opere alcune delucidazioni in merito. Diverse le ipotesi sulle origini, riconducibili comunque a tre filoni fondamentali. Il primo è quello che lo fa discendere dal dionisismo: il Salento è infatti terra in cui forte è stata l'influenza dei culti provenienti dalla Grecia. Il secondo è quello che gli attribuisce un'origine autoctona; ipotesi suffragata dagli scavi archeologici di Roca, relativi all'epoca messapica, dove è possibile riscontrare un simbolismo simile a quello del tarantismo. Terza corrente di pensiero è quella di una linea femminile del tarantismo che lo considera come dinamica sociale costruita ad uso e consumo delle donne, con una tradizione che parte dal culto della dea Atena. Tale ipotesi è confermata dal fatto che i simboli associati alla dea sono gli stessi di S. Paolo, protettore dei tarantati. Trascendendo dalla origine precisa, quello che si può riscontrare con certezza è la presenza di una commistione naturale tra paganesimo e cristianesimo.
Legato alla credenza nella figura mitologica del basilisco (nome di un rettile favoloso caratteristico per le larghe creste laminari, erettili che porta sul capo e lungo il corpo - i maschi anche sulla coda - le antiche leggende gli attribuivano il potere di uccidere con lo sguardo) e a quella dei ragni velenosi, il morso della taranta (termine con cui si identificano indifferentemente aracnidi velenosi e serpenti) provoca sudorazione, mal di stomaco, palpitazione e spasmi muscolari. Per liberarsi dall'azione venefica del morso, tradizione vuole che il tarantato danzi e canti fino al momento in cui S. Paolo concede la grazia della guarigione. E' proprio per volere di S. Paolo che ogni anno, in corrispondenza della festa del santo, il "pizzicato" ricada sotto l'effetto del veleno e debba compiere lo stesso rituale coreutico-musicale. Avvenuta la concessione della grazia della guarigione, questi deve poi recarsi a Galatina, dove si trova una cappella dedicata al santo.
La casistica dei tarantati vede una forte dominanza di donne come soggetti portatori del fenomeno ed il periodo del raccolto estivo come momento privilegiato per il morso. La motivazione, un tempo attribuita al fatto che gli uomini mietevano il grano con le falci mentre le donne raccoglievano le spighe cadute per terra e quindi erano maggiormente esposte al morso dei ragni o dei serpenti, in effetti è da ricercare nella condizione di vita delle donne, chiuse e represse, succubi di un ordine sociale limitante in tutti i settori, soprattutto quello sessuale. Le ricerche condotte da Ernesto De Martino nel 1959 hanno confermato la tesi secondo cui ad alcuni sporadici casi di reale latrodectismo, corrisponde una netta maggioranza di casi in cui il morso è una giustificazione allo scarico di tensioni e frustrazioni individuali. La donna, quindi, è tarantata non perché morsa dal ragno, ma perché depressa e inibita, e trova nel tarantismo la possibilità di uno sfogo che, rientrando in un ordine culturale, protegge la portatrice dal marchio del disordine mentale.
Georges Lapassade, nel 1981 in una intervista, diceva: "Il tarantismo è insieme esorcismo e adorcismo. E' un modo ritualizzato di espungere da sé il negativo, ma è anche qualcosa che muove - come troviamo in molte culture pagane - dall'esigenza di integrare il male. Il tarantato si fa intermediario dell'alterità, di un modo interiore che appare popolato di tante voci diverse, fuori da un ordine permanente gerarchico. Entra in una dimensione di mezzo, per cui diventa come lo spazio e la voce dell'alterità, della diversità, di una divinità che parla molte lingue". Il tarantato danza e canta, e il canto è un dialogo con la divinità (S. Paolo, la Madonna), un dialogo diretto in cui il tarantato svolge un ruolo privilegiato rispetto agli astanti, divenendo quasi un semidio o uno sciamano. Sempre nell'intervista citata, Lapassade sosteneva che il tarantismo è parente del coribantismo e non del dionismo, in quanto se il secondo incarna valori positivi di riunione del diverso in unità, di concordanza degli opposti, il primo incarna la diversità, il contrasto, la dissonanza, il rumore. Come nel coribantismo ogni dio rappresenta un mondo di valori e percettivo peculiare che richiama colori e suoni particolari, così il tarantato si rapporta ad un "ragno" che risponde ad un certo nome (viene comunicato dalla taranta stessa nel corso del rito), che preferisce alcuni colori ed un certo ritmo musicale. Durante il rito il coreuta danza, seguendo una coreografia inventata al momento (la taranta lo guida e gli fa "tessere" la danza), secondo un ritmo particolare (e non altri) e si circonda dei colori che preferisce la sua taranta.
La musica di accompagnamento al rito, è la "pizzica-tarantata", molto somigliante, nella sua capacità di creare il trans e la dissociazione della personalità, al blues e alla macumba. Da non confondere con la "pizzica-pizzica", eseguita invece solo in occasioni edonistiche e conviviali come feste e matrimoni. La pizzica, come tutti i canti salentini, è metricamente costruita per essere suonata con il tamburello, che ne è anche lo strumento fondamentale ed è un coacervo di simbolismi: il cerchio di legno rappresenta il mondo ma anche il cerchio magico-rituale in cui si svolge il rito; i sonagli di rame che disturbano il suono cadenzato, il disordine, l'irrazionale, il brutto, l'oscuro, ma anche la realtà; e la pelle rappresenta la costante ritmica che serve a reintegrare la taranta nell'ordine delle cose e della vita quotidiana.
Oggi i casi di tarantismo sono estremamente sporadici, limitati ai pochi vecchi tarantati, anche se permane, nelle fasce meno acculturate ed in condizioni economiche disagiate, una certa soggezione e timore nei confronti di un fenomeno così difficile da spiegare e su cui anche la scienza, a volte, non sa come pronunciarsi. Una nuova forma di tarantismo si sta sviluppando e dilagando, ed è quello praticato da giovani, soprattutto appartenenti alle fasce medie, che (nelle manifestazioni pubbliche come nelle feste dei santi, dove si esibiscono gruppi che ripropongono il repertorio musicale tradizionale) ricercano la taranta così che li conduca all'individuazione di una identità personale, sociale e culturale e forse anche (come in passato) allo sfogo delle frustrazioni così da rientrare nell'ordine sociale per mezzo di un'altra via.
Scientificamente parlando, invece, con il termine "tarantola", si designa oggi il ragno pugliese. Fu coniato nel XIV secolo, quando comparve nel tarantino il fenomeno del "tarantolismo", cioè di quella violenta agitazione psicomotoria ritenuta conseguenza del morso della tarantola. I morsicati - "tarantolati" - entravano in uno stato di agitazione mentale e motoria per cui ballavano in modo esagitato al suono dl musiche vorticose, che furono poi chiamate "tarantelle", capaci di apportare loro un beneficio, secondo le leggende che andavano diffondendosi. Prima di quell'epoca, nel mondo romano, il ragno nostrano si chiamava "phalangium" (dal greco "phalanghion"), da cui l'italiano "falangio" ancor oggi usato (curiosamente anche per la pianta bulbosa ritenuta l'antidoto contro il morso della tarantola). Non c'erano termini per tarantolismo, tarantolati e tarantella perché non esistevano quei fenomeni e la musica corrispondente. Fu nel 1683, che Sanguinetti, un medico, si sottopose volontariamente al morso di una tarantola, ricavandone, solo un arrossamento della parte e dimostrando come il tarantolismo non fosse provocato dal morso del ragno di Taranto. Lo stesso, nel 1742, fece Serrao, medico del re di Napoli, riconfermando l'esperimento di Saguinetti. Non per questo cessò il tarantolismo, che continuò a imperversare nel Meridione, interessando medici, etnologi, psicologi e la Chiesa (si pensò alla possessione diabolica).
Dal punto di vista zoologico, la tarantola pugliese fu battezzata dapprima Tarantula apullae e diventò in seguito Lycosa tarentuia per il gioco di priorità e sinonimie che tanto piacciono agii zoologi. E' uno dei ragni più grandi e più belli d'Italia, lungo anche più di 4 cm, ha forme massicce, vellutate e una livrea grigio rossiccia con complicati disegni neri e con forti zampe anellate di giallo e di bruno. Vive sempre nel terreno, immerso nella sua tana che scava da solo, formata da una galleria rettilinea lunga circa 20cm e larga un paio, che svolta bruscamente verso il basso descrivendo un complicato percorso. Tappezza la tana di seta, e per proteggersi dai disturbatori, ne chiude l'apertura con steli, erba disseccata e fuscelli tenuti insieme da una trama di seta. Di giorno si acquatta nella sua tana, al crepuscolo esce a caccia: morde le prede tra capo e collo per ottenere ll più rapido risultato e, una volta morta la vittima, se la succhia tranquillamente nella sua tana, lasciando igienicamente i resti fuori della porta di casa.Durante la stagione degli amori, i maschi assediano le femmine. Una volta concluse le nozze al solito modo dei ragni - senza congiunzione carnale, i maschi raccolgono lo sperma in una chela e lo depositano sulla femmina -i coniugi si separano. La femmina, dopo qualche tempo, deposita le uova fecondate in un bozzolo, le uova si schiudono e centinaia di ragnetti escono dal bozzolo e si arrampicano sulla madre, che se li porta a spasso o a caccia. Con l'approssimarsi dell'inverno, madre e figli si chiudono in casa e attendono la primavera digiunando. Vita da ragni.
Il morso della tarantola non è pericoloso per l'uomo perché al massimo produce arrossamento e un po' di dolore.